Sono sempre stata una persona indipendente dal punto di vista fisico, ma poco dal punto di vista psicologico.
Nel corso della mia terapia ho imparato a ad esserlo anche psicologicamente. Il processo che mi ha reso indipendente è stato la fuga. Una fuga non totale, ma un va e vieni, come le onde del mare. Un avvicinamento più profondo, una fuga più lunga. Quando mi sentivo soffocare, me ne andavo.
Durante la gravidanza del Malandrino, mi sono chiesta spesso come avrei fatto. Avevo paura. Perché con un bimbo non sarei potuta andare via fisicamente. Così, alla ricerca di un equilibrio, sono andata via psicologicamente. Non una fuga perenne, ma un va e vieni, che ovviamente è stato incomprensibile per un bambino così piccolo. Forse tutte le sue paure sono anche una reazione a questo mio atteggiamento.
Oggi che non posso andar via nè fisicamente, nè psicologicamente, mi sento soffocare.
Non ce la faccio.
Mi sto lasciando morire dentro.
So che questo non paga perché mia madre ha fatto così ed io ho pagato (anche se meno di lei che ha sacrificato tutta la sua vita).
Ma io non riesco a reagire.
So che molto dipende dal fatto di non saper dire di no.
Era un mio problema anche nei rapporti sociali. Da qui l’invasione totale del mio spazio e il mio bisogno di andare via, di mettere una distanza.
Stesso teatrino si ripresenta con i figli.
Sarò capace di mettere dei paletti? Sarò capace di farlo senza rabbia?